La tecnologia spazzera via tutto, editoria compresa. E quindi la cultura. Quante volte abbiamo sentito negli ultimi anni il fosco presagio che circonda il gionalismo. Certo, il mondo cambia, la comunicazione pure. Ma forse non tutto è perduto. O quantomeno non tutto è da buttare via. La discussione è stata protagonista oggi in un incontri sullo stato della cultura orgamizzato da Prometeo, rivista trimestrale di scienze e storia edito da Mondadori. E all’ADI Design Museum si è avviata una riflessione sull’importanza, sulle prospettive future e sulle possibilità di rilancio di uno dei settori più importanti per il Paese.

Una tematica al centro dell’inserto speciale “Kultur, idee per il rilancio” pubblicato nel nuovo numero del magazine. Firmato da tre protagonisti della vita culturale italiana: Armando Massarenti, Severino Salvemini e Valdo Spini. Insieme a loro, Andrea Cancellato, direttore di ADI Design Museum e Presidente di Federculture. E Gabriella Piroli, direttrice della rivista,di cui pubblichiamo in seguito un intervento.

Tecnologia, editoria, cultura: le idee di Prometeo per il rilancio

Per parlare di tecnologia e cultura si può partire da alcuni dati:

  • il cinema nel 2019 incassava oltre 350 milioni, oggi 169.
  • visite ai musei: solo a Milano, possiamo contare su un +18% rispetto al 2019 prepandemia
  • musica, nei primi sette mesi del 2022 c’è stato un +40% rispetto al 2019
  • appaiono in buona salute anche i vari appuntamenti festivalieri. Il Salone del Libro quest’anno ha battuto tutti i record di ingresso. Così come Mantova, il festival della Comunicazione e tanti altri ancora

Conslusione: c’è una domanda di cultura, e anche di socialità connessa alla vita culturale. Prometeo, nel percorso di rinnovamento intrapreso l’anno scorso, cerca di dare più spazio a tutte queste realtà. E per questo, rimandando alla lettura del trimetrale, pubblichiamo l’intervento di Gabriella Piroli sulla cultura ai tempi della tecnologia.

Gabriella Piroli PrometeoL’attimo fuggente dell’editoria, di Gabriella Piroli

Sull’editoria si sono già sprecati gli allarmi e i de profundis. C’è un fondo di verità, almeno per quanto riguarda quella giornalistica, attanagliata da una crisi strutturale probabilmente irreversibile. Nel senso che non è possibile, attualmente, immaginarne un nuovo ciclo espansivo. Ma come in una malinconica vignetta di Altan («ci sono dei momenti in cui mi piacerebbe dire: io non c’ero»), nulla lasciava presagire il loop negativo di questi mesi. Diciamolo: un vero Black Swan.

Facciamo un piccolo passo di lato. A dispetto dell’opinione pubblica che – nel bene e nel male – percepisce la stampa come un “sistema politico”, va ribadito con forza che no, non è esattamente così: si tratta di un mondo industriale. Con i suoi player, le sue materie prime, i suoi contratti, i suoi flussi di cassa e i suoi modelli operativi. Ed è precisamente un’industria energivora. Fortemente energivora. Non batte il pistone sul cilindro della tipografia, non arriva la fornitura di carta. Non partono i furgoni per raggiungere le edicole, le librerie o le case degli abbonati.

Tutto ciò non funziona se manca l’energia. O se è troppo cara. Dall’estate 2021 a oggi, carta, stampa e distribuzione hanno costi raddoppiati. Non aumentati – e giù raffronti con il più che maestoso tasso di inflazione reale. Sono proprio raddoppiati. È del tutto evidente che la situazione rischia di sfuggire di mano. Soprattutto, di non reggere. E allora facciamo adesso un piccolo passo sul lato opposto per una disamina seria, e anche spietata. Servono davvero? Chi “produce” cultura – nell’accademia o nel territorio, nei musei o nelle imprese – ha ancora bisogno di questo medium? Internet e la logica del self-qualcosa non hanno ormai sussunto tutto?

Vorrei azzardare una risposta, risparmiando a me stessa e a tutti i lettori il solito blabla sul digitale. Con una visione né astemia né ubriaca, possiamo serenamente valutare che la rete è utile, importante e anche divertente, a tratti persino consolatoria. Tuttavia, non è sufficiente. Nella “produzione di senso”, che è allo stesso tempo il compito primo e ultimo di ogni istanza culturale, conta un altro aspetto. Che non è, come si crede, la divulgazione (in questo i vari socialmedia hanno un’irrefutabile potenza radiante). Conta il riconoscimento e la selezione.

È il vero valore aggiunto che regola quel difficile, nevrotico e a volte rissoso rapporto tra autori. Tra autori di nuove istanze scientifiche, storiche, artistiche, filosofiche, sociali, tecnologiche. E autori di notizie e approfondimenti: come avviene per esempio sulla cara, vecchia carta stampata, in tutte le sue articolazioni – di giornali, riviste, libri, saggi. In palio, per tutti, c’è l’evolvere della conoscenza. Ma occorre che l’industria editoriale non sia strangolata dalla crisi. E che tra le idee per il rilancio culturale di questo Paese le venga assegnato un posto d’onore. È il nostro ultimo attimo fuggente, non lasciamocelo scappare.

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