La Semiconductor Industry Association (SIA) ha affermato che Huawei avrebbe lavorato in questi mesi per aggirare le sanzioni commerciali statunitensi costruendo “segretamente” la propria capacità di produzione di chip, con un finanziamento stimato di 30 miliardi di dollari da parte dei governi di Pechino e Shenzhen.

È quanto scrive Bloomberg, agenzia di stampa secondo la quale gli impianti di produzione non dichiarati di Huawei includerebbero almeno due stabilimenti esistenti e altri tre in costruzione. La SIA – che ha sede negli Stati Uniti – ha confermato a Bloomberg che Huawei avrebbe nascosto il suo coinvolgimento registrando gli impianti con i nomi di altre società. Con tale escamoatge si sarebbero potute agilmente violare le sanzioni statunitensi acquistando – pur se in via indiretta – attrezzature per la produzione di chip e relative forniture.

L’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha affermato che non sorprende che Huawei e altre società cinesi abbiano cercato il sostegno statale per sviluppare tecnologie nazionali e che la situazione viene monitorata attentamente.

Il progetto del fondatore di Huawei

All’inizio dell’anno, il fondatore di Huawei Ren Zhengfei aveva illustrato lo sviluppo dell’azienda parlando di alternative locali ai componenti che non potevano essere acquistati da aziende statunitensi. Huawei avrebbe riprogettato più di 4.000 circuiti stampati e sostituito più di 13.000 componenti dell’intera gamma di prodotti per renderli compatibili con la nuova produzione di semiconduttori. Gli Stati Uniti hanno iniziato a prendere di mira Huawei nel 2019, imponendo varie restrizioni.

La vicenda, per versi grottesca (gli Stati Uniti non sarebbero stati in grado di riconsocere le aziende ombra che lavoravano per Huawei), mette in luce quanto alcuni osservatori avevano prospettato nel 2019, al tempo del bando: e cioé che le imposizioni del Dipartimento del Commercio statunitense non avrebbero fatto altro, nel lungo termine, che rafforzare Huawei e, per certi versi la Cina, accelerando il processo di produzione autoctono di semiconduttori, indebolendo di rilfesso il potere commerciale e l’economia degli Stati Uniti.

Poco meno di quattro anni dopo il ban, seppure fra mille problematiche ed ostacoli, frapposti non solo dall’America ma anche dal Canada e da alcune nazioni europee che hanno eslcuso Huawei dalla costruzione delle reti radiomobili locali e dall’accesso alla tecnologia 5G, il colosso di Shenzhen è vivo e vegeto, progetta e costruisce semiconduttori, ha stretto un accordo con la cinese SMIC per produre chipset, sta per lanciare smartphone 5G in Cina, ha riconquistato il primato del mercato interno con i suoi foldable e medita la controoffensiva.

Ad oggi, l’unico, ultimo e vero ostacolo, forse il più duro, sembra essere quello degli smartphone in Europa, dove la mancanza del sistema operativo di Google rende la gamma molto debole.

Ma conoscendo le sette vite di Huawei, i loro competitor farebbero bene ad attendere di brindare.

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