La rete fissa di Telecom va agli statunitensi del fondo Kkr per 22 miliardi di euro. L’assemblea della società che si è svolta oggi a porte chiuse ha sancito la vittoria del piano elaborato dall’ad Pietro Labriola. Una strategia a senso unico per ridurre il debito monstre della società pari a 26 miliardi di euro, insostenibile con i tassi di interesse in rialzo. Il gioiello di famiglia, ossia la rete, viene venduto per cercare di sanare i debiti.

La rete Telecom delle telefonate dei Boomers

Si tratta di momento doloroso almeno per tutti gli italiani che hanno conosciuto le gioie e i dolori del telefono “fisso”. Quello che oggi squilla solo per le telefonate inopportune dei call center. Mentre per i boomers e, in parte, per la Gen X, ossia nati dal 1945 agli anni ’80, quando squillava il telefono, l’unico presente in casa (fino al 2000 il telefono cellulare era un lusso e funzionava pure male), il cuore cominciava a palpitare. E si perchè l’amministratore delegato di Telecom sta vendendo la rete delle telefonate d’amore di milioni di italiani, quella realizzata, e pagata con il canone, voce fissa in bolletta quando Telecom si chiamava Sip ed era monopolista del servizio.  Ed è rimasta proprio la stessa dato che, secondo i dati Agcom, su oltre 20 milioni di accessi da rete fissa, circa il 68,3% sfruttano ancora l’infrastruttura nazionale in rame. 

Dai dati si evince che  gli accessi tramite rete Fttc (Fiber to the cabinet ossia la rete in rame e fibra) sono invece il 49,6% mentre l’Adsl (che sfrutta un collegamento esclusivamente in rame) copre ancora il 18,7% degli accessi. Mentre la fibra ottica Ftth, quella più performante, copre il 21,4% degli accessi e la rete Fwa (fixed wireless access) garantisce il 10,3%. Certo la rete si è evoluta e consente velocità di connessione tra i 100 e i 200 Mb per l’Fttc e anche l’Adsl è migliorato arrivando a 20Mb, ma certo serviranno altri investimenti per arrivare a portare la fibra in tutto il paese.

La quota del fondo Kkr

La rete non sarà tutta di Kkr. Anche lo stato italiano, che ha privatizzato (in maniera sbagliata) Telecom nel 1997, sarà nella nuova società della rete con una quota del 20%. L’obiettivo dichiarato è quello di  realizzare la rete unica di accesso del paese portando in dote Open Fiber. Ad oggi controllata al 60% da Cdp (Cassa depositi e Prestiti) e al 40% dal fondo australiano Macquarie. Dopo 30 anni dunque lo stato torna azionista, di minoranza ma con potere di governance, nella rete fissa. Mentre Telecom, che ora si chiama Tim, esce con le ossa rotte avendo comunque distribuito miliardi alle compagine azionarie che si sono succedute nel tempo al comando. E peggiorando sempre di più la situazione a cominciare dal gruppo di imprenditori bresciani (1999) capitanati da Roberto Colaninno, che poi ha dirottato i guadagni nell’acquisizione della Piaggio.

E così mentre Internet diventava sempre più pervasiva nella vita delle persone e nel contesto imprenditoriale e le società Hi-tech Usa macinavano utili e ricavi miliardari, i gestori di tlc ex-monopolisti hanno cominciato un inesorabile declino di utili e ricavi. Senza mai peraltro riuscire a ricevere giuste compensazioni dai cosiddetti Ott, ossia Over the top.  Amazon e Google anche Apple, Facebook non sarebbero diventati ciò che sono senza poter “sfrecciare” sulle reti mondiali di tlc. Un’autostrada tecnologica costosa ma per loro assolutamente gratuita  grazie anche alla capacità di lobby che sono riuscite a imprimere presso i maggiori organismi internazionali. Ue compresa che invece hanno “martellato” il settore delle tlc imponendo concorrenza selvaggia e tariffe stracciate.

Il vantaggio per le aziende tlc

Tutto quanto sopra ha portato vantaggio alle società che operano sul web e ai produttori di smartphone e hardware di vario genere che per funzionare hanno bisogno della rete. Soprattutto quella fissa, dato che senza questa ultima quella mobile non potrebbe certamente collegarsi in un battito di ciglia ai contenuti e ai servizi web sparsi nei server di tutto il mondo. Ma mentre gli altri ex-monopolisti (da Deutsche Telekom, a Orange (ex-France Telecom), Telefonica in Spagna e British Telecom) la rete sono riusciti a tenersela stretta Telecom, purtroppo, la deve vendere per non fallire come una Alitalia qualsiasi.  E il risultato dell’Assemblea dei soci, partecipata al 50,77%, dice proprio questo dato. Con il maggior azionista (i francesi di Vivendi che hanno il 23,7%) che non ha votato per il rinnovo del cda aggiudicandosi però la maggioranza nel collegio sindacale, l’organo di controllo.

Gli altri soci partecipanti all’assemblea – Cdp che ha il 10% e i fondi di investimento – hanno approvato il rinnovo del consiglio. Nonché l’amaro calice del piano presentato. Ovvero la vendita della rete e il ridimensionamento di Tim in società di servizi (fisso, mobile enterprise). Con alcuni gioielli della corona scampati al massacro come Tim Brasil (che produce utili) e Sparkle la società dei cavi sottomarini in cerca di acquirenti. Tim ora ha un nuovo presidente Alberta Figari, avvocato d’affar,i mentre Pietro Labriola dovrà dimostrare la validità del suo piano che vede scettica l’Assemblea. La quale non ha approvato né la politica di remunerazione dei vertici proposta né il piano di stock option.

All’orizzonte anche la data del 21 maggio, quella della prima udienza in tribunale della causa intentata da Vivendi. Che non voleva la vendita della rete a un prezzo giudicato troppo basso. Kkr in compenso è certa di poter avere tutte le autorizzazioni necessarie dalla Ue prima dell’estate. Telecom è salita in Borsa del 3% ma vale solo 0,23 euro ad azione: nel 2006 valeva 2,5, dieci volte tanto. Come la capitalizzazione scesa a 5 miliardi di euro nonostante Tim Brasil. Agli italiani, insomma,  si è spezzato non solo il cuore ma anche il portafoglio.

L’articolo Telecom vende agli americani la rete delle telefonate d’amore dei boomers proviene da Tra me & Tech.